Friday, December 30, 2005

Prototipo di favola Nietzscheana post-moderna

C’ era una volta una stupenda principessa. Ella però non era come tutti voi vi aspettereste. Non era meravigliosa secondo i patinati canoni dell’ odierno; lei non era una barbie qualsiasi osannata dalla superficialità del mondo. Era diversa.
Beninteso, non che non fosse bella, ma consisteva in altro il suo splendore. Costei fin dalla tenera età aveva imparato ad usare la testa autonomamente, quindi spesso rifiutava le opinioni della massa, le frasi fatte o qualsiasi forma di dogma.
Ma Dio (o chi per esso) commise un errore: la fece nascere in un mondo un po’ avariato, come il nostro, giusto per intenderci.
E cosi pochi erano in gradi di ammirare la principessa in tutto il suo incanto. L’ ingenuità che poi i modi della fanciulla tradivano le davano poi un tocco fatato, quasi magico.
Era ancora una ragazza e già era qualcosa di unico, di unico ma invisibile, giacchè nessuno era in grado di coglierla come meritava.

Viveva in questo mondo un ranocchio. Questo lurido anfibio aveva avuto dalla sorte il dono di poter vedere distante, dove alti non vedono. Quando vide la ragazza si accorse subito che era una principessa e quando lei se ne avvide, se ne rallegrò.
Era forse lui il suo principe?! Si, si, non c’ erano dubbi, loro erano uguali, sarebbe bastato un bacio e tutti sarebbero vissuti felici e contenti.
Ma al ranocchio le favole non piacevano. Quel viscido palmipede in tutti quegli anni passati nello stagno a filosofare, aveva finito con il credere in niente; così passava i giorni ad inseguire se stesso, a cercare di essere come avrebbe voluto, forte e sicuro di tutto. Ma non era facile e il verdognolo aveva paura col finire a credere in qualcosa di sbagliato o forviante. Perciò schivava l’ abbaglio più grande che esiste, che poi sarebbe anche la parola più a sproposito usata nel nostro tempo, al secolo amore!
Non era cinico o cattivo, anzi di sua natura sarebbe stato buono, in effetti troppo buono, tanto che stronzo aveva imparato ad esserlo per necessità di vita.
Fu cosi che il ranocchio non si trasformò in principe neanche quando la principessa provò a baciarlo.

La principessa non capiva la logica di tale sviluppo. Insomma, possibile che non si trasformasse?!!
Ma il ranocchio aveva visto giusto. Quella ragazza era destinata a grandi cose e quella lezione di vita avrebbe contribuito a farne una regina, a farla diventare la donna speciale che sarebbe diventata.
La vita non è una favola. La vita non è una favola!
E non era ammissibile che una persona con tanta potenza di vita al suo interno avesse bisogno di avere accanto qualcuno. Certo, prima o poi accanto a lei qualcuno ci sarebbe stato, ma non sarebbe stato di sicuro una guida o un ranocchio indeciso.
Nel frattempo la ragazza si sarebbe fatta donna e il suo splendore di regina sarebbe bastato a reggerla da sola.
Ma la fanciulla non sapeva ciò che il destino serba ad una persona come lei; il ranocchio provò a spiegarglielo ed infine, non sicuro di essere stato capito, si ritirò tra il fogliame del suo stagno.

Con il tempo la ragazza crebbe, si fece la regina che il ranocchio vide a suo tempo e sorrise pensando a quel girino mai cresciuto.
Ma a lui, al viscido coso verde, piace ricordarla ancora oggi come la principessa che provò a baciarlo, una magica crisalide di una straordinaria persona!

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