Saturday, April 16, 2016

Vedi Napoli e poi..

Un sogno. E’ stato un sogno a farmi ricordare. Ricordare sensazioni, umori, sapori dell’anima di un ricco ego giovanile che sguazzava nella sua abbondanza di prospettive e sentiva forte e pericoloso intorno a lui l’odore di un amore impossibile.
Ciclicamente mi torni in mente come un motivetto che non se ne va. Quale errore credersi invincibili. Il tempo piega ogni cosa. Ma col sennò di poi è fin troppo facile dirlo, la vera forza è consapevolezza, coscienza dei propri poteri, dei propri limiti e del tempo che scorre e noi con esso, anche se ci illudiamo che non sia così.
Io mi sveglio e sono un altro. E’ una cosa su cui ho davvero uno scarso controllo. Io mi sveglio e sono un altro, tutto mi è estraneo, jamais vou. Ciò che ieri erano i miei aneliti, interessi, volontà appaiono come uno sbiadito ricordo di un film poco interessante sul quale la mia mente non ha voglia di soffermarsi oltre, ed infatti passa oltre. Passa oltre fino ad un tempo andato, un tempo dove l’arredamento della mia mente era completamente diverso, nel bene e nel male, e dove anche l’ultima cosa che fino ad oggi sembrava essersi conservata, la coscienza di una volontà potenzialmente infinita, sembra vacillare.
Io mi sveglio e sono un altro, il me stesso di un altro tempo, quando ero poco più che ventenne e scoprivo il gusto agrodolce della vita proiettando le possibilità del tempo tramite una lente creativa e innocente. Provo ciò che provava lui in ogni minuscolo atomo del mio essere, sono lui a tutti gli effetti, intrappolato in un altro corpo, in un altro tempo, in una realtà estranea. Ho la netta certezza che se come per magia domani mi dovessi svegliare in quel tempo io agirei in modo coerente e lineare, senza nemmeno la coscienza di aver all’istante dimenticato quel che ci sarebbe stato dopo.
A quel tempo c’era lei. A quel tempo ella appariva come un simpatico incidente di percorso sulla strada di un ego in espansione. Lei di cui non ho più nulla, nemmeno un volto, nemmeno un luogo, nemmeno un contatto. Nell’era della comunicazione cosa può esserci di più frustrante? La conoscevo bene eppure adesso, ripensandoci, forse con la scorta di qualche anno in più, scorgo delle incoerenze in lei che non riesco a sanare; quanto so di lei? Quanto di reale? Quanto di immaginato? Quanto di recitato? Quanto di morto di uno slancio giovanile breve per definizione?
Quali stupidi proseliti mi bloccavano dal farla mia. Bastavano poche ore e l’avrei resa reale invece per anni o preferito illudermi invincibile bramando non si sa bene cosa, probabilmente nascondendo le mie paure e basta. O forse fu allora una scelta buona tuttavia ora non la reggo, la considero stupidamente rigida e intransigente, oltremodo superba. E’ giusto che paghi. E’ giusto che soffra. E’ giusto che sia ridotto a vederla solo in sogno e sentirne per pochi secondi la presenza, sempre più impalpabile, che si allontana lasciandomi intrappolato in una realtà straniera. Alla fine ha vinto lei. E’ la mia stupidità ha probabilmente causato infelicità ad entrambi. La vita sembra un gioco quando sembra che il tempo sia infinito.
Chissà se verrà un nuovo capitolo di questa storia, un capitolo reale che ponga fine a questo sogno facendomi ricondurre lei alla normale, e quindi superabile, realtà; o un capitolo assurdo un autentico terremoto; per ora non resta che un lungo purgatorio fatto di oblio e rimpianti, con la sola consolazione di aver appreso un saggezza ormai superflua, forse utile per un'altra vita.

Non abbiate paura di amare. Vivete il vostro tempo o prima o poi la vostra anima tornerà a reclamare ciò a cui sente di appartenere. Una luna senza cielo.

Friday, September 11, 2015

Accarezzando Vaniglia

Ti ho perso e non lo sapevo.
Ti ho perso senza nemmeno sapere di averti trovato.
Quanta calda nostalgia in quelle febbri d'amore ingenuo, veloci e violente, che ci coglievano quando condividevamo lo stesso tempo.
Tu eri troppo bella e questo era decisamente un problema per chi cerca un sentimento puro.
Io ero troppo puro e questo è decisamente un problema per chi cerca la felicità.
Quanto parole date al vento inconsapevolmente.
Quanto sogno senza nemmeno un briciolo di realtà, sogno figlio di un'ingenuità che ora considero insopportabile, fastidiosa, che solo la giovinezza ammette. Sogno figlio di un'esplorazione sentimentale che presenta il conto solo molto più tardi.
Ci sei stata? E' esistito quel tempo se non solo nella mia mente? Ero io quella persona?
Ti ho perso completamente e nonostante non ti abbia mai amato ho sempre fantasticato sul modo in cui avrei potuto perdermi nel nostro amore. Uno smarrimento breve e infinitamente profondo, un limbo dove onirico stordimento si confonde con beatitudine. Un posto dove perdere se stessi.
Ti ho perso, e con te una parte di me, del mio tempo, del mio mondo, della prova della mia esistenza.
Nessuno sa che ci sei. Nessuno sa che ci sei stata.
Sarai un pugnale di rimorsi piantato saldamente nel costato durante la vecchiaia.
Sarai l'idealizzazione di tutto ciò che avrei potuto essere.
Apparirai come una vestale pronta a farmi tornare bambino con un cenno della mano.
Nella mia testa resterai sempre bella e giovane, anno dopo anno, fino al punto che, non potrò negare a me stesso di aver in testa solamente un'icona, palesemente sbiadita ma che io continuo forzatamente a rinverdire, niente di più attinente col reale. O presunto tale.
Tu invecchierai e io non lo vedrò.
Scoprirai il gusto agrodolce della vita che passa e io non lo condividerò con te.
Morirai e io non me ne accorgerò.
Io non ti ho mai amato, per questo ho osato perderti senza batter ciglio.
Forse per provare a me stesso che mi sbagliavo.

Friday, May 02, 2014

L'immensità

L’immensità ti assale con fame furibonda. Sapevi dell’esistenza di quel posto, eppure te ne eri quasi scordato, tutto nascosto in un recondito angolo della memoria, un angolo reietto alla quotidianità, un angolo superfluo per il meccanico vivere ciononostante così scandalosamente fondamentale.
Il caso ha voluto che, senza volerlo, tu ritrovassi quel posto: quando l’hai visto ti sei ricordato dell’immensità, insopportabile, insostenibile, troppo bella per essere contenuta, troppo bella per essere compresa, troppo bella per non aver voglia di piangere.
C’è stato un tempo in cui ogni cosa aveva dentro qualcosa d’altro. Una canzone, un lamento, una speranza, una promessa, quasi un’anima; c’è stato un tempo in cui la tua umana mente, discendente incosciente dell’illuminismo, attribuiva un senso pratico a tutta questa bellezza, a tutta questa immensità.
Tu sai che il ricordo sfuma, armonizza, rende mitica e dolce la sofferenza e sorvola sulla felicità. Tu lo sai o speri di saperlo. Sai di certo che non puoi saperlo e quindi lo speri e basta. Alla fine il passato è solo una sensazione e la felicità è qualcosa che sembra esistere solo in un ieri incompreso quando era presente ed in un domani mai abbastanza vicino da essere palpabile. E allora la felicità è solo dentro la tua testa ed è la tua mente che decide dove collocarla. La felicità è solo una scelta. La cosa difficile è che è una scelta difficile da fare coscientemente.
Ed allora ti abbandoni all'immensità. Il troppo spazio. E ascolti, vedi, senti il mondo attorno a te accadere. La natura, il tempo, il rumore del mondo, la percezione di una spazio immutabile e profondo che permea e sovrasta invisibile ogni cosa da sempre. Passi la maggior parte del tempo rapito da una insana dinamicità, ovunque sei, dovresti, potresti, vorresti essere altrove: ed infatti con la testa lo sei; perché devi, perché vi sei indotto, perché le cattive abitudine attecchiscono in fretta, perché sei figlio illegittimo di un futurismo incauto. Eppure esiste una saggezza le cui origini si perdono nella notte dei tempi che ti dicono di vivere nel presente. Perché solo quello esiste. E solo li puoi essere felice. Tu lo sai, o meglio pensi di saperlo, perché lo hai letto, perché ricordi il concetto, perché intuisce il proselito in te, ma non comprendi veramente, non riesci.
In questa immensità invece il presente è davvero tale. Ogni cosa è dove deve essere, tu compreso. E non senti l’impulso di muoverti, di pianificare, di guardare l’orologio, di controllare lo smartphone. Solo essere qui, ora, contemplando qualcosa vecchio come il mondo che porta in sé un saggezza antica e non fatta di parole. Gli alberi sono alberi e sono belli, l’erba è erba ed è bella e così anche il cielo, gli uccelli, il sole, il fiume che scorre in mezzo alla città, l’aria che ti accarezza tiepida e te stesso, ora.
Guardando giù ti ricordi che la natura che ti circonda, la città più in basso, i palazzi storici, le vie, il fiume hanno ospitato milioni di persone prima di te e milioni di persone ospiteranno dopo di te; non sono tue, non lo sono mai state. Il mondo non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo al mondo: noi siamo solo degli ospiti. Ogni cosa è diversa da questa prospettiva, ogni cosa sembra meritare più rispetto, ogni cosa sembra nascondere una profonda e silenziosa saggezza senza tempo, un'anima saggia che accoglie, osserva e tollera l’uomo come farebbe un padre amorevole con un figlio dispettoso.
Quando un figlio intuisce l’amore dei genitori nel senso più profondo del termine non può non soffrire di gioia perché ha toccato il significato profondo del sacrificio della vita che si perpetua da sempre affinché la vita continui; qualcosa di incomprensibile, di ingiustificato, di arbitrario eppure così spudoratamente immeritato; ed è lì che inizia a diventare adulto. L’uomo deve ancora diventare adulto. Il senso di un tempo e di un mondo che ci ospitano amorevoli.
Chissà se verrà un tempo, un posto, dove le cose che contano potranno essere fotografate, rivissute, rimembrate, tali e quali e come erano e senza amarcord nostalgici: anche se forse sono proprio questi che le rendono degne di essere rivissute. Ma in fondo ogni cosa è sempre stata dove doveva essere, ovvero di fronte a noi, solo che non la vediamo.  In fondo basta solo ricordarsi di guardare ogni tanto l’immensità.

Wednesday, September 18, 2013

Frattali psichedelici figli di un tempo incompleto(per definizione)

La vita passa veloce come un bastardo ubriaco alla guida e tu la guardi passare fingendo di capirci qualcosa.
In realtà non ci capisci un cazzo e annaspi come un cazzo di stronzo nel fango. Annaspi come uno schifoso.
Ma non si può dire, non si può dire perchè si cresce, perchè devi essere, perchè bisogna fare, perchè tu sei più figo, devi esserlo, lo sono  tutti.
Tutto è, in ultima analisi, una merda se è filtrato dalla tua cazzo di mente umana ma tu non-lo-sai-lo-sai-non-lo-sai, e allora fanculo tutto. Tutto per un idilio che non arriva, paventato di continuo dall'illusione di un tempo anch'esso illusorio in un fottuto frattale di ricorsiva inconsistenza cosmica. Ma tu non sai, cerchi, lo speri, ci credi, e anche quando perdi la speranza ci credi ancora, perchè sei tu, tu sei pensiero, tu sei volontà storpia, tu sei redenzione mal filtrata. Ci speri sempre. Nel momento perfetto. Che ogni fottuta cosa sia come deve essere. E' il momento perfetto. Basta affanni, basta con il passato insufficiente ed il futuro incerto. E' il momento perfetto. E' infinito nella sua percezione, anche se sai che la tua mente umana lo farà passare sai comunque che la perfezione del momento perfetto si espanderà lungo un'altra dimensione. Che lo renderà infinito. Perfetto è infinito. E tu vivrai li. Distante dal tempo, distante dall'ego, distante dall'insufficienza. Perchè quello è il momento perfetto. Perfetto e infinito. E poi chi aveva ragione?! Tutto sembrerà piccolo dall'alto del tuo momento perfetto. Tutto cosi insignificante. Tutto cosi banale. Vecchio, superato, ovvio, obsoleto.
Ci stai sperando. Sei ancora sulla giostra. La mente ti ha giocato. Sei morto. Non cadavere ma morto. Scendi. Hai sbagliato tutto. E io che cazzo ne sapevo. Però eri furbo tu col tuo ego in poppa inseguendo il tuo momento perfetto. Mi sentivo vivo. Sentire implica percezione. Vivo che la percezione è stata proiettata dalla mente in un qualcosa d'esser altro. Come tutto. Se esiste. Noi viviamo li. Sempre. Non è colpa tua.
Sono proprio uno stronzo. Proprio un cazzo di maniaco psicotico stronzo. Cazzo mi credevo. Ho capito.
Non hai capito un fottuto cazzo di niente. Hai solo fermato la giostra.
Ora scendi e vivi coglione.

Tuesday, June 23, 2009

Muoriamo

Noi muoriamo ogni giorno e c'illudiamo di viverci per come eravamo ma siamo solo degli stupidi che non colgono l'insopportabile oblio della nostra mente.
Noi muoriamo ogni giorno, quando parliamo, quando pensiamo, quando effettuiamo una scelta. Siamo noi. Lo eravamo. Film già visto.
Noi muoriamo ogni giorno, perchè se ci cogliamo siamo già passati oltre, e quando ci adoriamo adoriamo quel che è stato.
Noi muoriamo ogni giorno e non lo sappiamo, e c'amiamo follemente non per ciò che portiam dentro, che nulla di assoluto avrà mai, ma per natura propria del nostro umano ego. Se il vero amore non può essere assoluto noi ci odiamo. Ma ci amiamo. Stupidamente. Stupidamente.
Noi muoriamo ogni giorno e ridiamo, cantiamo, balliamo su di un mondo che scorre e ci perquote fino all'estrema redenzione, la resa della nostra volontà di vità. Ci arrendiamo e siam contenti, perche questo è il fiume in piena, ne un bene ne tantomeno un fine, solo un modo d'esser altro. Un beffardo diversivo.
Noi muoriamo ogni giorno e ci guardiamo vivere dando sempre lo stesso nome alle cose e alle persone le quali dall'alto di un'incorerenza mai colta ne affibiano uno a noi. Noi lo accettiamo perchè muoriamo ogni giorno con loro. Siamo loro.
Morti e vivi ogni giorno.
Noi muoriamo ogni giorno ma ogni giorno ci svegliamo e respiriamo l'aria ch'era del nostro ieri e sarà del nostro domani pretendendo con ciò d'esser un unità coerente. Non lo siamo. Siamo foglie unidimensionali.
Noi muoriamo ogni giorno e c'aggrappiamo ai sentiementi come a scialuppe di salvataggio d'un Titanic già quasi a picco. Ogni cosa al posto giusto. Uno schedario di cazzate che pretende, e non ci riesce, di fare il verso alla verità. Non lo è. Non lo siamo. Non ci siamo. E non ci siamo mai stati. Ci siamo solo sentiti. Poi passati oltre. Già morti in quell'istante insospettabile.
Noi muoriamo ogni istante e di ogni istante vorremmo lasciar traccia ma siamo pigri. Perciò muoriamo e basta. Muoriamo e ci crediamo. In qualcosa. Che non esiste. Che è esistito. Esistenza postuma.
Nella giostra del realta crediamo di aver un seggiolino in prima fila e sguaziamo in un vuoto postmetafisico che non lascia via di scampo se non la regressione. La morte. Naturalismo Storico. Noi muoriamo. E' il momento. E ci adeguiamo. Perchè lo siamo. Siamo la nostra esistenza postuma che si masturba sopra la nostra tomba credendo di generare vita. Ma non veniamo.
Noi muoriamo sempre. Ma nel farlo continuiamo ad esistere provando che c'e' qualcosa. Non siamo noi. Noi siamo feccia. Putrida espressione. Ramo secco che si bagna.
Noi viviamo ogni giorno e sognamo, amiamo piangiamo e odiamo. Questo è il ciclo della vita.
E noi non siamo che dei testimoni scomodi e imperfetti.
E se muoriamo e perchè la vità scorra in noi domani.
Cosi per sempre.

Thursday, August 07, 2008

Genesi di una fine

Prima o poi, presto o tardi gli si sono aperti gli occhi.
E’ un sottoprodotto.
Evoluto.
Istruito.
Ma pur sempre un sottoprodotto.
Sottoprodotto di un mondo che ha un determinato sistema di vita, un certo sistema di valori. Ne buono ne cattivo. Ne giusto ne sbagliato. E’ come è.
Quei valori lui non li ha. Certe cose, naturali per quasi tutti, egli non le afferra, glie ne sfugge anche solo l’esistenza stessa.
Sistema di valori differente. Divergente. E più il tempo passa e più diverge.
Malriuscito. Malcresciuto. Malcresciuto. Lasciato libero di pensare troppo.
Nella lotta per il mondo gioca con le regole sbagliate, non ne conosce altre, e dunque perde sempre.
Sottoprodotto dunque.
Evoluto.
Istruito. Talvolta perfino utile.
Ma non competitivo.
Distante. Diverso. Apolide. Astratto. Extraterrestre. Non persona. Scartato. Superfluo. Ai margini.
Cieco di fronte ad un gap che ogni altro vede tranne egli stesso. Un gap incolmabile.
Incolmabile.
Ha capito troppo tardi. Non si può tornare indietro. Troppo tardi.
Non lo ha mai provato. Non lo prova. Non lo proverà mai. Perché il gap è il gap.
Ora s’inquadra. Ora riesce a darsi uno stereotipo.
E intuisce il suo destino.
Si tratta solo di aspettare che venga il coraggio di ultimarlo.

Tuesday, August 05, 2008

Attimi

Io ti guardo e non ti vedo,
scavo nel tuo d'Ape viso:
laggiù ti scorgo
un solo istante,
evaso da un distratto Mirar Distante,
poi finisce
già è concluso
ma ora ho visto e qui mi credo
in ciò che hai dentro e che intuivo
ma che mai prima vedevo;
non ha nome ma ha un odore:
sa un po' di triste poesia;
io sorrido poco poco,
tu mi guardi e non lo sai
del traforo nel tuo viso;
chiedo scusa, metto a posto.
Camminiamo.
Come tre attimi fa...